venerdì 10 aprile 2009

Analisi Competitiva cap.15 e cap.16

CAPITOLO 15.
la strategia di diversificazione.
È la strategia che permette di creare valore anziché distruggerlo.
1. tendenze della diversificazione nel tempo.
Fattori che in passato hanno influenzato le strategie di diversificazione.
Dopoguerra: aumento della diversificazione in termini geografici, di catena del valore, di gamma di prodotti. Boom della diversificazione, con un’ondata di fusioni e acquisizioni tra imprese non correlate e l’emergere di una nuova forma di entità aziendale, l’impresa conglomerata. Inoltre gli obiettivi aziendali erano sempre più orientati verso la crescita del profitto.
Anni ’80-’90: l’indice di diversificazione si è molto ridotto. Tendenza alla specializzazione, data da tre fattori: l’attenzione dei manager alla creazione di valore per gli azionisti (maggiore attenzione quindi alla redditività per il controllo delle altre imprese), maggiore turbolenza dell’ambiente competitivo (la imprese più specializzate sono più agili e dinamiche), l’evoluzione delle teorie di gestione aziendale (nove teorie sulla strategia di gruppo, più attenzione alle risorse e competenze come fonte di vantaggio competitivo).

2. i motivi della diversificazione.
3 obiettivi: crescita, riduzione del rischio, aumento della redditività. Leprime due sono fondamentali per il processo di diversificazioni, ma incompatibili con quello di creazione di valore per gli azionisti.
Crescita: chi punta alla crescita lo fa a discapito della redditività, tipico del dopoguerra. Ciò è motivato dal fatto per cui un’impresa vuoleottenre un rendimento del capitale che superi i costi nel l.p., e perché se si sacrificano la redditività a favore di altri obiettivi, ci può essere una rivolta degli azionisti.
Riduzione del rischio: si esamina la diversificazione che estenda il controllo dell’impresa su numerosi business indipendenti il cui flusso di cassa non viene però influenzato dalla gestione comune. Ma i costi di transazione sostenuti dagli azionisti per la diversificazione sono inferiori a a quelli di diversificazione delle imprese, quindi non viene apportato nessun vantaggio agli azionisti.
Ricerca della redditività: 3 test essenziali per decidere se la diversificazione creerà effettivamente valore per gli azionisti: - il test di attrattività, il test di costo d’entrata e il better-off test:

il test di attrattività e il test costo di entrata: l’attrattività di un settore non è sufficiente per giustificare l’entrata. Oltre al test di attrattività, occorre anche il test costo d’entrata, che riconosce che l’attrattività di un settore per un’azienda che già vi opera è diversa dall’attrattività di un’impresa che sta valutando di entrarvi (>attrattività, se ha +barriere all’entrata).
Better-off test: si basa sul criterio del vantaggio competitivo: se de attività di imprese diverse vengono unite sotto la proprietà e il controllo di una sola, c’è maggiore redditività?a volte sì, altre no, perché si hanno diversi obiettivi, come economie di scala, aumento raggio di distribuzione…

3. diversificazione e vantaggio competitivo.
La modalità principale con cui la diversificazione crea vantaggio è attraverso la condivisione di risorse e competenze tra attività diverse. La conseguenza è l’aumento del potere di mercato, o le economie di scopo. I meccanismi strategici per conseguire potere di mercato sono 4:
le politiche di prezzo predatorie: le imprese conglomerate (cioè che hanno adottato la diversificazione condividendo risorse e competenze), provano a spingere fuori dal mercato tagliando il prezzo al di sotto del livello dei costi dei concorrenti.
il bundling: un’impresa può estendere il monopolio da un mercato all’altro vendendo i due prodotti in un unico pacchetto.
acquisto reciproco: accordi di acquisto reciproco coi clienti, privilegiando come fornitorile aziende già fedeli clienti di altre imprese del gruppo. Molto rischioso.
tolleranza reciproca: quando le imprese hanno talmente tante caratteristiche in comune da incontrarsi in più mecati, è meglio non intraprendere azioni aggressive in un mercato per paura di scatenare una guerra dei prezzi generalizzata.
Le economie di scopo invece esistono per le stesse ragioni delle economie di scala, solo che i risparmi di costo non si ricavano da un aumento della scala di produzione del singolo prodotto, ma da un aumento dell’output di più prodotti. La natura di questa economia varia a seconda del particolare tipo di risorsa o competenza:
risorse tangibili: reti di distrib, sistemi informativi, forza di vendita…raggiungono l’e.d.s attraverso la condivisione in ambiti di business differenti. Sempre più frequentemente le imprese formano organizzazioni di servizi, strutture preposte all’erogazione di servizi come la contabilità, legali, sistemi informativi, alle varie divisioni operative.
Risorse intangibili: marchi, reputazione dell’impresa, tecnologia,…soggetti a eds nella misura in cui possono essere trasferite da un’area di affari a un’altra a un basso costo marginale. V starbucks, ha usato la forza del proprio marchio per introdurre gelati, bibite, macchine per il caffè.
Competenze organizzative: v competenze manageriali a livello di gruppo. Possono essere trasferite all’interno dell’impresa diversificata.
NB! Anche se le eds consentono il risparmio di costo, occorre per forza diversificare per sfruttare queste opportunità? No. Si può avere lo stesso risultato anche tramite la vendita e la cessione in licenza delle risorse e competenze. Ciò vale per le risorse intangibili, tangibili, e le competenze organizzative. Ma attenzione, tanto più le competenze saranno radicate nell’impresa, tanto più sarà difficile trasferirle.
NB! Le eds sono un valido motivo per la diversificazione solo se in concomitanza con elevati costi di transazione, problema che risolvono con la costituzione di una serie di attività che generano un flusso di cassa e attività che invece assorbono flussi di cassa. L’impresa diversificata può quindi essere vista come un mercato dei capitali interno, in cui i business competono per l’allocazione delle risorse. Il vantaggio di questa situazione è che il management del gruppo ha accesso a maggiori informazioni rispetto a quelle disponibili nei mercati esterni, quindi l’impresa diversificata è più efficiente di quanto non siano i mercati esterni nei cfr delle attività indipendenti (cioè per uno che viene da fuori e che avrebbe il monopolio nel mercato estero).

4. diversificazione e risultati economici.
La diversificazione crea valore per gli azionisti quando sfrutta le economie di scopo e quando lo sfruttamento di queste eds tramite i contratti di mercato è inefficiente, a causa dei costi di transazione nei mercati delle risorse.
In base a ciò, ci si è posti due questioni:
qual è la performance relativa delle imprese diversificate rispetto a quelle specializzate? Le diversificate hanno più ampia opportunità di investimento, e si possono spostare più rapidamente verso i settori più attraenti. Però a volte la dedizione a perfezionare una gamma ristretta di prodotti da parte delle risorse specializzate porta a un vantaggio competitivo nei cfr delle diversificate. Non ci sono dimostrazioni cmq di una relazione definita tra diversificazione e specializzazione.
La diversificazione correlata garantisce una performance migliore rispetto alla diversificazione non correlata? A volte sì, ma altre prove empiriche dimostrano il contrario.
NB! Un problema fondamentale è distinguere la correlazione dalla causalità.
il significato della correlazione nella diversificazione: correlazione= possibilità di trasferire risorse e competenze tra unità di business. Allora non esistono criteri certi per stabilire se due settori sono correlati: dipende tutto dalla situazione. Se invece vogliamo misurarla, dovremmo definire la correlazione come la somiglianza tra settori in termini di tecnologia e mercato (correlazioni operative, v marketing, produzione, distrib…). Le cosiddette correlazioni strategiche invece sono le somiglianze nella gestione strategica, e nel processo di allocazione delle risorse tra le attività.
Le decisioni di correlazione avvengono sulla base di correlazione percepita più che di quella effettiva. Dipende dalla percezione dei manager.

CAPITOLO 16
La gestione delle imprese diversificate.

Riepilogo:l’impresa diversificata o multibusiness (cioè la multiprodotto, multinazionale), sfrutta le possibilità in molteplici attività in modo più efficace delle imprese specializzate. Le due questioni principali che si pongono sono:
come sia possibile creare valore attraverso le relazioni tra business che operano in più mercati (v cap 13-14-15);
come si possono gestire al meglio queste fonti di valore: in questo caso la soluzione è la multidivisionalità. Elevato num di filiali a loro volta divise in aree d’affari, controllate dalla casa madre.
1. la struttura dell’impresa diversificata.
4 caratteristiche sulla struttura che ne sanciscono la superiorità:
1. adattamento alla razionalità limitata: i manager hanno limitata discrezionalità, e non facendosi carico di tante decisioni, la responsabilità viene decentrata.
2. allocazione del processo decisionale: le decisioni più frequenti devono essere separate dalle decisioni meno frequenti.
3. minimizzazione dei costi di coordinamento: per tagliare i costi, le decisioni di coordinamento vengono decentrate.
4. ottimizzazione globale anziché locale: spingono i manager a privilegiare gli obiettivi funzionali a discapito degli obiettivi generali. Nell’impresa multidivisionale è più facile che i direttori di divisione si identifichino con gli obiettivi generali.
2 problemi fondamentali sorgono da qui:
allocazione dell risorse: è molto costosa, la soluzione è istituire una specie di mercato interno concorrenziale, in cui ogni attività compete per il minor impiego di budget.
Soluzione dei problemi di agenzia: i manager dannò la priorità ai loro obiettivi sacrificando quelli degli azionisti. La soluzione è allineare gli obiettivi dei manager con quelli degli azionisti.
Problemi che invece limitano il decentramento e la flessibilità divisionale:
Limiti al decentramento: a volte la divisione è soggetta ad un forte accentramento.
Standardizzazione della gestione a livello divisionale: la gestione delle diverse aree dovrebbe essere differenziata l’una dall’altra, ma c’è una spinta alla standardizzazione.

2. il ruolo dei vertici di gruppo.
Il vertice del gruppo gestisce la creazione del valore con la gestione congiunta delle aree d’affari, che infatti genera un aumento dei profitti maggiore dei costi per il coordinamento centralizzato. Il vertice quindi è responsabile della formazione della strategia di gruppo, ma la creazione di valore vera e propria si ha con:
la gestione del portafoglio;
la funzione di guida e controllo sulle singole attività;
la gestione delle interdipendenze tra le attività, attraverso condivisione e trasferimento delle risorse e competenze.
3. le decisioni di portafoglio.
Sono: l’ampiezza del portafoglio (acquisizioni, fusioni, nuove operazioni e ingressi in nuovi mercati), la contrazione del portafoglio (cessioni) ed eventuali variazioni della composizione del portafogli attraverso la condivisione e riallocazione delle risorse e investimenti. Queste funzioni sono generalmente associate allo sviluppo e l’applicazione di:
modelli di pianificazione del portafogli: v General Electrics, 3 innovazioni: i modelli di pianificazione del portafoglio /modelli semplici a matrice bidimensionali per valutare le performance delle aree d’affari, la formulazione delle strategie delle unità, l’equilibrio delle attività in portafoglio), l’area strategica d’affari (ASA, la piccola unità che formula una strategia competitiva molto specifica, per alcuni prodotti specifici), il database PIMS (database interno che raccoglie dati strategici di mercato e di performance). i risultati della pianificazione di portafoglio di GE sono i modelli di pianificazione del portafoglio, cioè una matrice, fig 16.1: 4 campi d’applicazione, l’allocazione delle risorse, la formulazione della strategia di business, l’analisi del bilanciamento del portafoglio (del flusso di cassa, a seconda se lo genera o privilegia gli investimenti, e della crescita dell’impresa attraverso lo sviluppo delle attività), la definizione degli obiettivi di performance (attrattività, calcolata in base a dimensione e crescita del mercato e del settore, e posizione competitiva, calcolata in base a posizione di mercato, posizione competitiva, ROS…). Altro modello di pianificazione del portafoglio è la matrice del Boston Consulting Group, fig 16.2.
strategie di ristrutturazione basate sull’analisi del valore per gli azionisti: nel valutare il portafoglio di attività di un’impresa, il criterio da applicare a ciascuna unità di business è se il valore di un’impresa sia maggiore con o senza l’unità in esame, ovvero se sia più conveniente tenerla in portafoglio anziché venderla o generare uno spin-off. Il metodo della ristrutturazione aziendale, che serve per creare valore per gli azionisti, è semplificabile nel “modello del pentagono”, le cui fasi sono 5: 1. analisi del valore di mercato corrente dell’impresa (valore del capitale proprio e di credito); 2. analisi del valore dell’impresa così com’è (per dare una percezione agli investitori), 3. analisi del valore potenziale dell’impresa in seguito a miglioramenti interni; 4. analisi del valore ideale dell’impresa in seguito a miglioramenti esterni, 5. analisi del valore dell’impresa dopo la ristrutturazione.

4. l’influenza delle singole aree d’affari.
Influenza individuale (stand-alone influence): per creare valore, si usa proporre l’influenza del direttore generale sulle decisioni di successione e formazione dei manager, influenzare i piani strategici e le proposte d’investimento. In 2 modi il vertice può esercitare questo potere: o imporre che certe decisioni siano soggette all’approvazione dei vertici della società (soprattutto quelle che impiegano ingenti quantità di risorse), dove quindi può controllare gli input (le decisioni), oppure la direzione può decidere di controllare le unità di business stabilendo obiettivi di performance, accompagnati da incentivi e sanzioni. Qui controlla gli output (la prestazione).
Le due soluzioni, se se ne sceglie una, si compromette l’altra. Quindi trade-off inevitabile.
In particolare, per quanto riguarda la strategia di business (la seconda), la formulazione della strategia è a carico sia del vertice sia dei manager di divisione. Così si garantisce la flessibilità, la capacità di reazione e un senso di appartenenza a livello di unità di business (v Exxon, Unilever).
Per controllare i risultati, è la direzione generale si occupa del monitoraggio e rispetto degli obiettivi, attraverso la cessione di benefici (avanzamento carriera, aumenti di stipendio, gratifiche,…) o sanzioni (licenziamento, abbass stipendio, note di biasimo, retrocessione). Gli obiettivi di performance di breve e medio periodo possono essere particolarmente efficaci anche nelle imprese in cui l’interdipendenza è elevata e il momento in cui si manifestano i ritorni degli investimenti è lontano nel tempo, come nel petrolio e nei gas naturali.
Un approccio per riconciliare gli obiettivi strategici di lungo periodo con il controllo continuativo della performance è fissare una serie di pietre miliari che definiscono tempi e modalità per il raggiungimento di fasi nella realizzazione di prodotti, progetti o per l’andamento dell’attività in generale. Una pietra miliare può essere il raggiungimento di un accordo commerciale, lo sviluppo di un prototipo, il lancio di un nuovo prodotto.
Un’implicazione del trade-off tra controllo degli input (decisioni) e controllo degli output (performance) è che le imprese devono decidere in che misura privilegiare la pianificazione strategica rispetto alla pianificazione finanziaria. Le imprese si possono identificare in classificazioni di tipi imprese diversificate a seconda che i loro sistemi si basino più sulla strategia o sulla finanza: 2 tipi:
pianificazione strategica: quando c’è un elevato coinvolgimento del vertice nel processo di pianificazione delle unità di business, quindi delle strategie. Gli obiettivi strategici sono leadership di qualità, quota di mercato, innovazione, e di lungo periodo. L’indipendenza dei manager di divisione è così limitata, poca iniziativa e senso di appartenenza. Ideale per operare nei mercati internazionali e ad alta intensità tecnologica, perché l’obiettivo è di l.p.
controllo finanziario: scarso coinvolgimento del vertice nella formulazione di strategie di business, ha solo influenza su controlli finanziari di breve periodo. L’attento controllo della direzione sulla finanzia comporta una costante pressione sui manager di divisione, e allo stesso tempo dà autonomia necessaria per stimolare i dipendenti. Si trascura però lo sviluppo di lungo periodo, ed è difficile gestire la cooperazione tra divisioni diverse.

Analisi PIMS: PIMS è un database che raccoglie informazioni su 5000 aree d’affari, per verificare l’impatto della propria strategia e della struttura di mercato sulla redditività. Servono a:
definire gli obiettivi delle aree d’affari:calcola il “par ROI”, cioè il tasso di redditività atteso da un’area d’affari in funzione delle sue caratteristiche strategiche e settoriali.
Formulare le strategie delle unità di business: le valutazioni ricavate dal ROI possono servire per vedere quali variabili devono essere modificate per migliorare la redditività.
Allocare le risorse tra le aree d’affari.

5. la ricerca delle interdipendenze.
In un’impresa multidivisionale, è importante condividere risorse e competenze tra le aree d’affari. Ciò può avvenire attraverso:
l’accentramento di servizi comuni: cioè accentrare le strutture preposte all’erogazione di funzioni e servizi di interesse generale, v pianificazione strategica, controllo finanziario, gestione tesoreria,...
interdipendenze dirette tra le unità di business:le risorse e le competenze possono essere condivise anche tra le singole aree d’affari, e secondo Porter le modalità di condivisione sono essenziali per la creazione di valore per gli azionisti. Riconosce 4 tipi di strategia: 1. gestione del portafoglio (la società madre acquisisce un portafoglio di imprese, le fa operare autonomamente e crea interdipendenze tra loro, è anche detta holding finanziaria); 2. ristrutturazione (gli specialisti creano valore attraverso la ristrutturazione, cioè acquisendo imprese gestite in maniera adeguata e sistemandole nei punti critici, effettuando attività di disinvestimento e investimento); 3. trasferimento di competenze (tra le varie unità di business); 4. condivisione delle attività (compito della direzione, che deve garantire il massimo coordinamento tra le risorse e competenze condivise, con lo scopo di: un forte senso di identità, chiara def della missione dell’impresa, creazione di team).

Ruolo della direzione: tanto più strette sono le interdipendenze tra le attività, maggiori sono le opportunità di creazione di valore tramite la condivisione di risorse e competenze. È questo l’obiettivo della direzione, la quale deve sfruttare le opportunità offerte dalla condivisione e dal trasferimento delle risorse e competenze. A volte si creano strumenti organizzativi ad hoc, come i gruppi di lavoro interdivisionali, per introdurre e diffondere la qualità totale. Inoltre, spesso è adottata la logica dominante, che è il modo in cui i manager concettualizzano l’attività e prendono decisioni critiche circa l’allocazione delle risorse.

6. tendenze recenti nella gestione delle imprese diversificate.
Anni ’90: maggior attenzione alla creazione di valore, nelle imprese diversificate. Inoltre la strategia di gruppo è orientata più all’identificazione dei mezzi con cui la direzione generale può creare valore per i singoli business.
I vertici di gruppo sono ora visti come generatori di cambiamenti organizzativi: al top management spetta il compito di fornire all’impresa una leadership, di definire una missione e diffondere i valori che rappresentino una cultura d’impresa unificante. I processi gestionali principali nell’impresa multibusiness sono 3: il processo imprenditoriale (decisioni sullo sfruttamento e allocazione delle risorse), processo di integrazione (percorso seguito per la creazione e sviluppo delle competenze organizzative), processo di rinnovamento (individuazione delle necessità di cambiamento e l’attuazione delle modifiche desiderate).

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